NUTRIZIONE: IL MARKETING DEL LATTE ARTIFICIALE

International Breastfeeding SymbolLa promozione dei diritti umani fondamentali ha certo bisogno di una costante sintesi tra principi e pratiche, i primi spesso facilmente sbandierati, le seconde altrettanto spesso abbandonate alla mercè di speculazioni. La salute, sappiamo, non fa eccezione a questo trend e la storia è piena di episodi paradigmatici. La promozione dell’allattamento materno è uno di questi:
fin dal 1981 l’Assemblea Mondiale della Sanità (AMS) ha approvato il Codice Internazione di Commercializzazione dei sostituti del latte materno, come recentemente ricordato in un articolo pubblicato su Quaderni ACP, “Il codice del marketing sul latte artificiale” (2011). Sebbene molti paesi abbiano tramutato in leggi dello stato i principi contenuti nel Codice, molte restano le violazioni dello stesso, spesso con la complicità (deliberata o meno) degli operatori sanitari non sufficientemente preparati. In Italia, il Decreto Ministeriale n°500, del 1994, ha recepito, con 13 anni di ritardo parte dei contenuti del Codice, pur tradendone lo spirito originale. Infatti, “le restrizioni commerciali [dei sostituti del latte materno] sono limitate alle sole formule lattee iniziali, per cui tutti gli altri prodotti (latti di proseguimento, tisane, bevande, ciucci, tettarelle) non vengono contemplati, e, inoltre, alle compagnie viene consentito di rifornire gratuitamente gli ospedali e le altre istituzioni del SSN, previa richiesta di un responsabile”.
Il peso politico di lobby industriali, la deontologia di medici e professionisti di salute materno-infantile, il marketing di questi prodotti finiscono tutti assieme per comporre un quadro assai distante da quello auspicato nel 1981. Ancora una volta, la salute non sembra poi sfuggire al principio che vuole vedere in ogni bene un bene di consumo e come tale una possibile fonte di profitto.

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