L’ACQUA COME DIRITTO UMANO: VUOTA RISOLUZIONE O PIENA REALTÀ?

Dieci anni fa l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha riconosciuto ufficialmente l’accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari come un insindacabile diritto umano. Per quanto possa ora sembrare un pensiero banale, quella decisione politica, ratificata nella risoluzione 64/292 ed entrata in vigore il 28 luglio 2010, ha fatto in modo che gli Stati e le organizzazioni internazionali investissero sforzi e risorse per aiutare tutti i paesi a fornire acqua potabile e servizi igienico-sanitari sicuri, puliti, accessibili e convenienti alle proprie popolazioni. Il riconoscimento ha infatti immediatamente eliminato le discussioni con i governi e ha permesso ai donatori di intervenire immediatamente a livello locale o nazionale, come ha affermato Amanda Klasing, co-direttrice dei diritti delle donne in Human Rights Watch, uno degli attori internazionali più importanti per la tutela dei diritti umani. Ma la lotta a livello globale è ancora lontana dall’essere vinta.

Ma ancora oggi, 1 persona su 10 (785 milioni) non ha accesso all’acqua pulita vicino a casa, mentre 1 persona su 4 (2 miliardi) non ha accesso a un servizio igienico adeguato e individuale.

E allora qual è l’impatto di una “risoluzione”?

Nonostante i traguardi ancora da raggiungere, molti dei principali attori coinvolti affermano che la risoluzione è stata uno strumento importante nel processo di advocacy negli ultimi dieci anni, ma ha dichiarato che è sottoutilizzata. Tra questi anche John Oldfield, presidente di Global Water 2020, un’iniziativa incentrata sull’accesso e la sicurezza delle risorse idriche.

“Una dichiarazione che qualcosa è un diritto umano fondamentale è un atto estremamente potente. Una chiara comprensione di ciò può galvanizzare l’azione a tutti i livelli”, ha dichiarato Louisa Gosling, senior manager di WaterAid, un’importante organizzazione no-profit internazionale.

Léo Heller, il relatore speciale sui diritti umani per la sicurezza dell’acqua potabile e dei servizi igienico-sanitari presso l’Ufficio delle Nazioni Unite dell’Alto commissario per i diritti umani, ha affermato che il sesto obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG 6), anche se è ancora lontano dall’essere raggiunto, non sarebbe potuto essere messo in atto se non fosse esistita quella risoluzione. “Esiste un allineamento molto interessante tra il linguaggio di quegli obiettivi e il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari”, ha affermato. Ciononostante, Heller ha affermato di essere “frustrato” per il ritmo, il riconoscimento e l’attuazione della risoluzione a livello nazionale e locale. “Penso che sia questione di rendere i governi e gli agenti pubblici del settore più a conoscenza di tale diritti”, ha aggiunto, “e che i governi devono anche essere più rigorosi nell’allocare i loro budget”. Il diritto internazionale non equivale sempre infatti ad un’azione concreta o ad un progresso in tal senso, ma “deve essere incorporato anche nella legislazione locale e nazionale”.

Secondo UN-Water, circa due terzi dei paesi includono l’acqua e i servizi igienico-sanitari come diritti umani nelle loro costituzioni, ma l’ampia interpretazione del riconoscimento rivelerebbe che tali cifre sono molto più basse nella realtà. Mentre la crisi data dal coronavirus ha messo a fuoco la necessità di adeguati servizi “WASH” (il termine usato per indicare i servizi di Water, sanitation and hygiene), ha anche messo in evidenza i numerosi luoghi del Mondo – tra cui ospedali e gruppi familiari famiglie in Iraq, Venezuela e Zimbabwe – in cui il diritto umano all’acqua e ai servizi igienico-sanitari non viene di fatto riconosciuto.

Alcuni esperti dicono che le Nazioni Unite dovrebbero lavorare molto di più per avere il controllo nel processo politico di alto livello o nel processo di revisione periodica universale della risoluzione e delle sue applicazioni specifiche. È comunque innegabile che la risoluzione abbia avuto un impatto sui servizi pubblici: il Sudafrica nel 2001 ha iniziato a fornire 25 litri di acqua gratuita a persona al giorno, ad esempio, e il Ghana nel 2002 ha introdotto “tariffe di sicurezza” per contenere i costi dell’acqua per i clienti domestici, il che testimonia come la volontá individuale sia necessaria tanto quella globale.

Come rafforzare il progresso

Per vedere ulteriori progressi nella realizzazione di WASH come un diritto proprio di ogni essere umano prima della scadenza dell’SDG del 2030, Oldfield ha raccomandato che l’ONU e la comunità internazionale di donatori sostengano i processi elettorali in tutto il mondo con informazioni sull’impegno che i governi mostreranno su WASH.

“Dobbiamo trovare il modo di rafforzare le voci delle organizzazioni della società civile per incoraggiare i loro leader eletti a dare la priorità a WASH come un diritto umano realmente concretizzato”, ha aggiunto, aggiungendo che la “copertura di alto livello internazionale” della risoluzione ed il suo decimo anniversario offrono un grande opportunità di fare proprio questo.

Creazione di coalizioni e messaggi comuni, stimoli ai candidati alle elezioni, utilizzo dei principi di responsabilità, accesso alle informazioni e partecipazione, organizzazione di tavole rotonde per garantire che gli eletti comprendano l’importanza di WASH e garantiscano di migliorare l’accesso ad essa sono tra le strategie proposte.

É inoltre necessario affrontare il problema dell’accessibilità economica dell’acqua ed in particolare devono essere effettuati maggiori investimenti nelle infrastrutture idriche. I dati mostrano che le tariffe delle famiglie non coprono i costi di esercizio e manutenzione nel 50% dei paesi, mentre l’80% dei paesi non ha finanziamenti sufficienti per attuare i propri obiettivi WASH nazionali. “Tutti questi esempi potranno fare pressione sui politici e sui fornitori di servizi affinché possano adempiere alle loro responsabilità”, ha affermato Gosling. “Sia i governi che i fornitori di servizi – come i servizi pubblici e le piccole imprese – devono comprendere i loro obblighi e responsabilità per garantire a tutti acqua e servizi igienici sicuri, accessibili, convenienti, disponibili e culturalmente accettabili. E hanno bisogno della capacità e delle risorse per farlo”.

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