SALUTE NELLE CARCERI: IL CARCERE COME DETERMINANTE SOCIALE PER LA SALUTE

Le norme minime standard per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite (UN Standard Minimum Rules for the Treatment of Prisoners 1955) affermano che, oltre a proteggere la società dal crimine, una sentenza di incarceramento trova giustificazione quando ha come fine ultimo la riabilitazione sociale del colpevole.
Per assicurarsi che i prigionieri dopo il loro rilascio, non siano solo disposti, ma anche capaci di provvedere ai propri bisogni vivendo nel rispetto delle leggi, è necessario fornire adeguati interventi sanitari durante la loro permanenza in carcere.

Considerando i detenuti in attesa di giudizio, i carcerati in custodia cautelare e gli individui giudicati colpevoli e condannati, nel mondo contiamo più di 10 milioni di persone detenute.
Possono esserci variazioni tra paesi, ad ogni modo la maggior parte dei detenuti sono persone di estrazione socioeconomica inferiore e facenti parte di comunità vulnerabili. Inoltre, in anni recenti, all’interno della popolazione carceraria, abbiamo assistito ad un aumento di migranti ed individui appartenenti a minoranze etniche.

Considerando che l’uso di droga è spesso accompagnato da azioni criminali, le persone con disturbi relativi all’utilizzo di sostanze stupefacenti costituiscono una larga proporzione dei detenuti. Questo complicato mix di fattori comportamentali e determinanti sociali fa sì che i detenuti abbiano un’elevata probabilità di entrare in contatto con malattie infettive già prima dell’incarcerazione; inoltre contribuisce in maniera sproporzionata alla presenza di importanti disparità sullo stato di salute dei carcerati rispetto al resto della popolazione. La probabilità di contagio di malattie infettive cresce ulteriormente in carcere.
Questo aumento del rischio è dovuto principalmente a 3 fattori: all’interno delle strutture di detenzione vi è un’elevata concentrazione di individui infetti;
nelle prigioni dilagano comportamenti deleteri per la salute come l’uso di tabacco e di droghe, la condivisione degli strumenti per l’iniezione di sostanze stupefacenti, per tatuaggi e piercing, la pratica di sesso non protetto e l’uso di violenza che causa ferite e che facilita il mescolamento di sangue di individui diversi;
infine, nella maggioranza delle strutture carcerarie, la malnutrizione, il sovraffollamento, l’accesso limitato ai servizi sanitari e il comportamento e le pratiche disumane degli ufficiali di custodia nei confronti dei detenuti, contribuiscono all’aggravamento dello stato di salute delle persone.

L’elevata prevalenza di malattie trasmissibili tra i detenuti può anche costituire un rischio per la salute di coloro che lavorano in carcere e per la popolazione generale.

Per l’unione europea, la durata media della permanenza in carcere è di sette mesi e oltre il 95% dei detenuti dopo un periodo di detenzione rientra nelle proprie comunità. Per questo motivo è di fondamentale importanza prevenire o curare le loro infezioni.
Dopo il rilascio, i prigionieri hanno difficoltà a trovare un alloggio e devono affrontare disoccupazione, stigmatizzazione sociale, negligenza e un atteggiamento cauto e prevenuto da parte della società civile.
Un ex detenuto con una malattia trasmissibile porta un doppio carico di stigmatizzazione, quello dovuto all’incarcerazione e quello dovuto all’infezione.
Per questo motivo, un ex carcerato infetto ha una maggiore probabilità di coinvolgimento in attività criminali e re-incarcerazione.
Pertanto, persiste un circolo vizioso, in cui il carcere svolge un ruolo centrale.

Poiché le carceri aumentano le diseguaglianze nella salute presenti tra le persone a contatto con il sistema di giustizia penale e la comunità generale, Awofeso sostiene che la prigione costituisce un determinante sociale della salute. Partendo da questa assunzione, le strutture carcerarie rappresentano un’opportunità per rispondere con servizi sanitari equi ed adeguati alle esigenze complesse di popolazioni vulnerabili e solitamente trascurate.
Per affrontare la questione delle malattie infettive nelle carceri, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha proposto una guida di interventi.
Sfortunatamente, nonostante numerosi studi confermino l’efficacia di questi interventi nel ridurre la diffusione e le ripercussioni negative delle malattie infettive, spesso nelle carceri questi servizi non sono offerti.

Al fine di affrontare il problema della salute nelle carceri, la giustizia penale e i sistemi di sanità pubblica dovrebbero coordinarsi e cooperare.
Per evitare la re-incarcerazione dei detenuti rilasciati è necessario facilitare il loro reinserimento nella comunità, fornendogli la adeguata assistenza –
i.e.: accesso garantito a servizi come alloggio, lavoro, continuazione delle cure e supporto psicologico.
Inoltre, per ridurre le incarcerazioni di persone particolarmente vulnerabili ed emarginate e la loro conseguente esposizione a infezioni potenzialmente letali, riforme legislative per depenalizzare il consumo di droghe e i comportamenti sessuali sono cruciali.

La salute delle carceri fa parte della salute pubblica e le prigioni fanno parte della nostra società. Quando uno stato priva le persone della loro libertà, deve comunque fornire loro la migliore assistenza sanitaria possibile.
Il riconoscimento dei diritti umani fondamentali dei detenuti, in quanto membri della società, è il primo passo fondamentale per promuovere l’attuazione su vasta scala degli interventi sopra menzionati.
Infine, le società più eque dal punto politico e sociale hanno una maggiore capacità di affrontare e ridurre i determinanti sociali che portano gli individui in prigione.

Sara Mazzilli 

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