C’È UN’ALTRA PANDEMIA SOTTO AL NOSTRO NASO

C’è un’altra pandemia sotto i nostri occhi, responsabile di oltre 8,7 milioni di decessi ogni anno. Non la vediamo, non è tangibile, ma è presente nell’aria che respiriamo tutti i giorni:  l’inquinamento atmosferico.

La pandemia COVID-19 ha sovrastato la portata mediatica, politica e scientifica di tutto il mondo. La maggior parte di noi si è sentita spaventata e in pericolo e per questo, ognuno con i propri mezzi, ha contribuito ad arginare il diffondersi del virus. Abbiamo percepito la pericolosità e l’urgenza di questa minaccia e molte delle risorse sociali ed economiche sono state indirizzate nella risposta difensiva.

Nonostante i numerosi sforzi, i decessi globali per il nuovo coronavirus hanno superato i 2,8 milioni negli ultimi 15 mesi. Un numero significativamente drammatico.

Si stima che l’inquinamento provochi tre volte il numero di decessi causati dal COVID-19.

Per quale motivo le stesse forze raccolte, con rapidità, in risposta a quest’ultima emergenza non sono mai state impiegate, in decenni, per contrastare il killer dell’inquinamento?

Rebecca Solnit in un articolo pubblicato su “the Guardian” cerca di rispondere al quesito con il tentativo di risvegliare le coscienze di tutti. L’inquinamento atmosferico ha subito un meccanismo di cui sono vittime tutte le questioni “croniche”, quello cioè della normalizzazione. Ci si abitua alla minaccia, la si accetta, la si assume come status quo, in altre parole ci si arrende. Ciò accade nelle violenze di genere come per il cambiamento climatico. Siamo in grado di cambiare stile di vita, di privarci di libertà e diritti quando ci sentiamo in pericolo e vogliamo difendere la nostra incolumità: come è avvenuto quando tutto il mondo è stato chiamato a rispettare le misure preventive di contagio.

Non siamo però disposti a comportarci nello stesso modo per salvaguardare il nostro pianeta dalle conseguenze catastrofiche del cambiamento climatico. Le motivazioni principali sono due, la prima risiede nella mancanza di senso di urgenza, tutti ne siamo consapevoli ma ci si è abituati alla minaccia; la seconda rientra nell’ambito della resa, cioè non ci aspettiamo che la situazione possa assumere una piega diversa, soprattutto nel breve termine.

L’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico, due facce della stessa medaglia, appaiono impercettibili nello spazio e nel tempo, spontaneo è associarli a fenomeni intangibili e astratti. Ciò che è evidente e concreto sono i loro effetti, lo vediamo nei fiori di ciliegio di Kyoto che hanno raggiunto il loro picco quest’anno più precocemente di ogni anno da quando vengono registrate le fioriture in Giappone (scrupolosamente riportate dall’812 d.C.). Ancora più allarmanti sono gli incendi boschivi che negli ultimi anni in California si fanno sempre più indomabili e intensi.

Il lockdown ha dimostrato ampiamente come l’uomo possa adattarsi ai cambiamenti, e l’impatto disastroso dei suoi stili di vita sulla natura. In India si è svelata la catena montuosa dell’Himalaya coperta, negli ultimi decenni, dalla schermata delle polveri sottili. Molte persone hanno potuto apprezzare il cinguettio degli uccelli che hanno ripreso a popolare i cieli ricchi di aria pulita quando il mondo industrializzato ha rallentato i ritmi. Secondo CNBC, a Nuova Delhi si è registrata una riduzione del 60% delle PM2.5 rispetto ai livelli del 2019, a Seoul il 54% in meno, mentre a Wuhan il calo è arrivato al 44%. Ritornare alla normalità, senza attenzione a stili di vita più sostenibili, significa mettere a tacere di nuovo il canto degli uccelli, ricoprire di un velo inquinato i panorami e accettare la perdita di 8.7 milioni di vittime.

Profonda e intensa attenzione è stata concessa da parte delle Autorità mondiali nei confronti delle azioni che hanno causato lo spillover del coronavirus. Una simile attenzione dovrebbe essere, con la stessa preoccupazione e dedizione, incanalata in una più accurata analisi sulle attività che contribuiscono all’aumentare dell’inquinamento.

L’auspicio è quello di scardinare la convinzione comune che non si possa fare nulla, se non l’adattarsi; e sull’esempio di quanto accaduto in risposta alla pandemia, tutti gli individui, le potenze economiche, politiche e scientifiche collaborino unendo le loro energie al fine di contrastare la crisi climatica che affligge il nostro pianeta. Ma prima è importante riconoscere il problema e le possibilità di interventi efficaci.

Fonte: The Guardian

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