FGM: IN SUDAN LE MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI SONO REATO

Il 30 aprile il governo di transizione del Sudan, al potere dal 2019 dopo la caduta del regime dittatoriale di Omar al-Bashir, ha vietato le mutilazioni genitali femminili (FGM) prevedendo ora una pena di tre anni di carcere, oltre che una multa, per chi le pratica.  

L’emendamento al codice penale sarebbe al capitolo 14 della dichiarazione costituzionale sui diritti e le libertà, approvata nell’agosto 2019. 

Le mutilazioni genitali femminili comprendono tutte quelle pratiche in cui gli attributi genitali femminili sono parzialmente o totalmente rimossi per motivi culturali e religiosi, causando alle bambine, ragazze e donne che le subiscono rischi gravi e talvolta irreversibili per la loro salute, oltre a pesanti conseguenze psicologiche. 

In Sudan le mutilazioni genitali femminili sono molto diffuse, stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) dichiarano che nove ragazze su 10 vi sono sottoposte. Secondo L’OMS la maggior parte delle donne sudanesi subisce la “circoncisione di tipo III”, una forma di mutilazioni in cui vengono rimosse le labbra interne ed esterne della vulva, e spesso anche il clitoride. La ferita viene dunque ricucita e chiusa, in una pratica nota come “re-infibulazione”, le cui conseguenze possono essere anorgasmia, forti dolori duranti i rapporti sessuali, cisti, lesioni all’uretra, infezioni e complicazioni durante il parto. 

La nuova legge rappresenta dunque un grande passo avanti per il paese, un cambiamento di importanza storica per la salute fisica e mentale delle donne, delle ragazze e delle bambine sudanesi. 

Ma gli esperti e le organizzazioni attive sul territorio avvertono che una sola legge non sarà sufficiente a porre fine alla pratica, radicata nei costumi e nelle tradizioni del paese, e considerata come momento fondamentale per dare marito alle ragazze. Secondo i dati dell’organizzazione “28 Too Many” tre quarti delle mutilazioni sono portate a termine da infermiere, ostetriche o altro personale medico, segno di quanto la pratica sia considerata accettabile anche dalle istituzioni.

Si stima che circa 200 milioni di bambine, ragazze e donne in tutto, il mondo siano state sottoposte a pratiche di mutilazione genitale, pratiche diffuse in almeno 27 paesi del continente africano e in alcuni paesi dell’Asia e del Medio Oriente. 

Nonostante sia formalmente vietata per legge in molti paesi africani, la pratica sopravvive. A titolo di esempio si prenda il caso dell’Egitto, dove la pratica è stata vietata già nel 2008, con un successivo emendamento introdotto nel 2016 per criminalizzare personale sanitario e genitori che la facilitano, prevedendo pene detentive fino a 7 anni per l’esecuzione della mutilazione e fino a 15 anni se l’operazione causa disabilità o morte. Ciò nonostante, le persecuzioni giudiziarie sono estremamente rare, e le mutilazioni continuano ad avvenire di nascosto. Dati delle Nazioni Unite stimano che il 70% delle donne egiziane tra i 15 e i 49 anni sono state sottoposte a mutilazioni genitali, la maggior parte prima di aver compiuto 12 anni. 

Negli ultimi anni però, grazie a campagne di sensibilizzazione globale, come quelle condotte dall’OMS, e da azioni territoriali promosse da organizzazioni per i diritti umani, alcune comunità hanno lentamente cominciato ad abbandonare la pratica, talvolta individuando riti di passaggio alternativi alla mutilazione. Campagne di questo tipo sono state promosse tra alcune tribù Maasai del Kenya, salvando dalle mutilazioni almeno 15.000 tra bambine e ragazze.

In Sudan il dibattitto sui diritti delle ragazze e delle donne ha acquisito rilevanza solo nell’ultimo anno, anche in considerazione dell’importante ruolo giocato dalle donne e dalle ragazze nelle proteste che hanno condotto alla fine del regime dittatoriale di Omar al-Bashir nell’aprile 2019. Il primo ministro Abdalla Hamdok, leader del governo di transizione, ha nominato donne ai dicasteri di affari esteri, istruzione superiore, gioventù e sport, lavoro e sviluppo sociale. Il nuovo governo ha inoltre abrogato le leggi sull’ordine pubblico dell’era Bashir, che ponevano serie limitazioni alle donne di muoversi, lavorare, associarsi, studiare e vestirsi. 

Clelia D’Apice

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