L’Italia è stato uno dei primi paesi europei colpiti dalla pandemia di COVID-19, registrando il più alto tasso di mortalità durante le prime ondate. La storia insegna che i periodi di crisi sono correlati a un aumento della violenza interpersonale e di genere, compreso un aumento più netto della violenza contro le donne e i bambini che assistono alla violenza. La pandemia di COVID-19 ha semplicemente esacerbato le disuguaglianze di genere esistenti in Italia e ha aumentato i rischi della violenza di genere, la “pandemia dentro la pandemia” con conseguenze negative per donne, bambini e giovani. La riposta italiana è stata debole e limitata dalla mancanza di dati che permettono di monitorare la risposta adeguatamente e con interventi parziali e limitati in durata.
Introduzione
A livello mondiale, le crisi e i periodi di disordine sono collegati a un aumento della violenza interpersonale e di genere, compreso un aumento della violenza contro le donne e i bambini che assistono a tale. Anche la pandemia di COVID-19 sta manifestando tale andamento, esacerbando le disuguaglianze di genere esistenti a livello globale e aumentando i rischi legati alla violenza di genere, la cosiddetta “pandemia dentro la pandemia” con conseguenze negative per donne, bambini e adolescenti.
Come riportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), le misure di allontanamento e isolamento intensificano gli effetti del controllo e del dominio dei partner sulle donne. Inoltre, la violenza di genere ha gravi conseguenze sulla salute mentale e sul benessere di bambini e adolescenti, con i bambini che vivono in famiglie dove viene perpetrata violenza del partner intimo particolarmente a rischio a causa delle restrizioni e delle misure di contenimento. I primi dati di UN Women mostrano che dall’inizio del COVID-19, la violenza contro donne e ragazze è aumentata e si è intensificata, con chiamate di emergenza e numeri antiviolenza che hanno registrato un aumento del 30% in molti paesi.
A seguito delle misure di distanziamento sociale e dell’introduzione delle misure di lockdown previste dal DPCM n.18 del 9 marzo 2020, l’Italia ha registrato un aumento del numero di chiamate e/o denunce di violenza domestica.
Questo articolo si inserisce in un lavoro di ricerca più ampio sull’Italia che la Commissione Lancet sulla Violenza di Genere e il Maltrattamento dei Bambini sta portando avanti, e mira ad analizzare la risposta italiana nel contesto della violenza di genere e il maltrattamento dei bambini durante il COVID-19 e di offrire una panoramica sulle principali sfide relative alla violenza di genere e alla trasmissione intergenerazionale della violenza.
Politiche e programmi in relazione alla violenza di genere e alla trasmissione intergenerazionale della violenza
L’istituzione di organismi o meccanismi nazionali per occuparsi del coordinamento, monitoraggio e attuazione delle misure e per adempiere agli obblighi legali internazionali, è raccomandata e richiesta, rispettivamente dal Comitato della Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) delle Nazioni Unite, dalla sua Raccomandazione generale n.35 e dall’articolo 10 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e alla violenza domestica, o Convenzione di Istanbul, come già analizzato in un articolo precedente.[1] La maggior parte delle misure italiane in materia di protezione e sostegno alle donne sopravvissute alla violenza sono principalmente adottate e formalizzate attraverso documenti politici, in particolare attraverso i Piani d’Azione Nazionali sulla Violenza Sessuale e di Genere.
Come richiesto dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia (CRC) delle Nazioni Unite, dal 2007 l’Italia ha adottato diversi Piani Nazionali di Azione e Intervento per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti, che si sono concentrati sui bisogni emergenti di bambini e adolescenti. L’ultimo piano adottato nel 2021 copre tre aree di intervento: educazione, responsabilizzazione e uguaglianza. Il Piano è integrato con il quadro internazionale e europeo, la CRC, gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (Agenda 2030) e la strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori. Il Piano offre una sintesi delle condizioni dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia, analizzando gli interventi e le azioni esistenti che richiedono nuovi interventi di miglioramento, anche attraverso l’analisi di dati statistici. I decisori pubblici e le organizzazioni della società civile possono identificare gli elementi che necessitano di soluzioni nuove, innovative e più efficaci. Il Piano, inoltre, promuove azioni innovative a favore dei minori, è coerente con i contenuti di altri Piani di Azione Nazionale, e di altri organismi di coordinamento, come l’Osservatorio nazionale sulla famiglia e l’Osservatorio nazionale per la lotta alla pedofilia e alla pedo-pornografia.
Secondo questo assetto politico e normativo, l’Italia si è dotata di misure di coordinamento, monitoraggio e attuazione delle misure per adempiere agli obblighi legali internazionali in materia di violenza contro le donne e diritti dei bambini e adolescenti. Ma quali sono state le misure intraprese dal governo italiano durante il Covid sulla violenza di genere e il conseguente impatto sui bambini?
In primo luogo, la risposta italiana al COVID-19 si è concentrata su misure di risposta a breve termine, senza un approccio sufficiente e programmi coerenti e sistematici per prevenire questo fenomeno. Il Ministero delle Pari Opportunità ha firmato un protocollo d’intesa con la Federazione Ordini dei Farmacisti, Federfarma e Assofarm per diffondere e sensibilizzare sulle misure disponibili per le vittime di violenza e su come riconoscere la violenza di genere, comprese linee guida, opuscoli e informazioni sulla Linea di Emergenza 1522, l’App 1522 e l’App Youpol.
Le donne a rischio di violenza e stalking possono chiedere aiuto al personale della farmacia utilizzando la parola in codice “Mask 1522“, che è quindi tenuta ad allertare immediatamente le autorità. Non sono disponibili dati comprensivi sistematici su questo problema; tuttavia secondo alcuni articoli riportati sui giornali, alcune donne sono riuscite a denunciare gli autori di violenza. Per quanto riguarda l’app Youpol sviluppata dalla polizia, ad oggi dal Ministero dell’Interno sono disponibili soli i dati dal 27 Marzo al 20 Aprile 2020, periodo del quale sono stati segnalati 117 episodi di violenza domestica e 82 di bullismo.
In secondo luogo, ad aprile 2020, il ministro per la Famiglia e le Pari Opportunità, Elena Bonetti, ha firmato un decreto straordinario per lo svincolo di 30 milioni di euro per programmi antiviolenza urgenti, in realtà già inclusi nel DPCM dell’anno precedente per l’anno 2019. Il decreto ha stabilito che parte delle risorse – 10 milioni destinate ad attività di contrasto alla violenza e 20 milioni per i centri antiviolenza e le case rifugio – devono essere utilizzati da questi centri per far fronte alla violenza di genere.
Altre misure brevi e urgenti per le donne sono state l’esenzione da alcune regole, ad esempio l’obbligo di portare con sé un documento che giustifichi il motivo per cui stanno lasciando la propria casa, se hanno bisogno di visitare una casa rifugio e centro antiviolenza. Una procura di Trento ha stabilito che in situazioni di violenza domestica l’aggressore (e non la vittima) deve lasciare l’abitazione familiare. Tuttavia, questa misura è stata adottata a livello provinciale e non fa parte di una politica nazionale globale.
Risposte politiche e fondi adeguati non sono stati messi in atto specificamente per le donne rifugiate e i migranti, costituendo una criticità per quanto riguarda le loro vulnerabilità che interagiscono con altri fattori sociali, culturali ed economici.
Le chiamate e le denunce di violenze
Gli ultimi dati completi dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) riportano che 2 milioni di donne in Italia tra i 16 e i 70 anni (13% della popolazione totale) hanno subito violenza fisica o sessuale da partner, o ex partner nella loro vite. Con le misure di distanziamento sociale e le disposizioni per la permanenza a casa, l’Italia ha registrato un aumento del numero di chiamate e/o denunce di violenza domestica, a seguito dell’introduzione delle misure di lockdown. L’ISTAT ha rilasciato dati sulla violenza di genere durante il COVID-19, incluso il numero di chiamate al servizio di numero antiviolenza 1522, il tipo di violenza subita e il luogo dell’incidente, nonché l’ora della chiamata. Durante questo periodo sono stati monitorati anche i tassi di abusi familiari e femicidi. Rispetto alle settimane immediatamente precedenti al lockdown e allo stesso periodo del 2019, il numero delle chiamate delle vittime di violenza in Italia è aumentato fino al 79,5% durante il lockdown a marzo 2020 (+71%), con picchi ad aprile (+176,9%) e maggio (+182,2%) rispetto allo stesso periodo del 2019. Le violenze denunciate sono state per lo più fisiche (47,9% dei casi), ma la maggioranza ha subito anche più di una forma di violenza, in particolare quella psicologica (50,5%).
Per quanto riguarda i bambini e adolescenti sotto i 18 anni, l’Italia ha un numero di emergenza dedicato (disponibile anche su WhatsApp), disponibile 24 ore su 24. Il numero verde è finanziato dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia. Il servizio fornisce supporto psicologico, legale e sociologico. La linea 114, tra febbraio e maggio 2020, ha segnalato 410 casi di emergenza, all’incirca 4.5 casi al giorno. Nel 60% dei casi denunciati, i bambini segnalavano situazioni pericolose all’interno della casa; +532% i bambini hanno segnalato preoccupazioni sulla pandemia; +21% salute mentale e atti suicidi; e +6% abuso fisico, violenza domestica, abuso psicologico.
Come gli altri paesi, l’Italia ha assistito a un aumento delle domande e delle denunce di violenza domestica. Nonostante questo aumento, l’Italia ha risposto in modo debole senza una chiara visione di lungo termine.
Case rifugio
I centri di accoglienza e i centri antiviolenza in Italia sono gestiti principalmente da reti di donne indipendenti e organizzazioni della società civile nazionali, regionali e locali. Questi centri supportano le donne sopravvissute con consulenza psicologica a breve e lungo termine, cura dei traumi, assistenza legale e consulenza, responsabilizzazione e supporto per raggiungere l’indipendenza economica, servizi di advocacy e di sensibilizzazione, linee telefoniche di assistenza e servizi specifici per i bambini come vittime o testimoni. Un aspetto importante emerso dai dati ISTAT riguarda la difficoltà dei centri antiviolenza e dei centri di accoglienza nel rispondere alle richieste di aiuto durante il periodo di emergenza. I dati riportano infatti che 649 donne sono state ospitate nei centri antiviolenza nei primi 5 mesi del 2020. Allo scoppio della pandemia i centri di accoglienza hanno incontrato alcune difficoltà e hanno cercato di adottare altre strategie, come l’utilizzo di bed and breakfast o altre strutture temporanee, messi a disposizione anche con il patrocinio delle Prefetture. Nei primi 5 mesi del 2020, 20.525 donne hanno chiesto aiuto ai centri antiviolenza, con l’8,6% delle violenze originate da situazioni legate alla pandemia. La Rete Nazionale Donne Italiane (D.I.R.E) ha riferito che 2867 donne hanno contattato 80 centri di accoglienza dal 2 marzo al 5 aprile 2020, il 28% di loro erano nuovi contatti (863 donne che hanno contattato i centri di accoglienza per la prima volta). Ciò rappresenta un forte aumento (74,5%) rispetto ai record mensili medi del 2018. Tuttavia, solo un quarto delle richieste totali includeva donne che hanno raggiunto tale rete per la prima volta nella loro vita; nel 2018 questa percentuale ha raggiunto il 78,0%: ciò significa che le donne sono sotto il controllo costante dei loro autori e non possono chiedere aiuto.
Sistema sanitario
La pandemia ha messo in luce le debolezze del sistema sanitario italiano, dovute alla mancanza di lungimiranza strategica nella risposta socio-sanitaria. L’accesso ai servizi vitali di salute sessuale e riproduttiva, anche per le donne vittime di violenza, è diventato complesso e limitato, soprattutto durante la prima ondata della pandemia. Alcune strutture hanno sospeso i servizi di aborto durante la pandemia o hanno riassegnato il personale ginecologico alle cure COVID-19. A marzo 2020, il Ministero della Salute ha pubblicato un aggiornamento sulle linee guida COVID-19 per la preparazione degli ospedali all’emergenza: l’opzione per convertire diverse strutture e ospedali in hub COVID-19, prevedendo l’annullamento delle procedure non urgenti per espandere la capacità di fornire cure critiche. L’incapacità del governo di garantire percorsi chiari per cure mediche essenziali e urgenti durante la pandemia ha causato ad esempio interruzioni ai servizi di aborto e ha impedito ad alcune donne di accedervi entro il limite di tempo legale, esacerbando gli ostacoli all’accesso sicuro e legale in Italia.
Conclusione
In primo luogo, la mancanza di dati sistematici è stato un problema significativo per riuscire a rispondere adeguatamente alla violenza di genere durante il periodo di pandemia. In Italia, la raccolta di dati sulla violenza di genere e il maltrattamento sui minori da parte delle istituzioni nazionali è frammentata, poco coordinata e manca di omogeneità, con conseguenti ostacoli alla progettazione di strategie a lungo termine, risposte politiche coerenti e adeguate a combattere e prevenire questo fenomeno. I sistemi di raccolta dei dati amministrativi relativi alla violenza di genere dei Ministeri della Giustizia, dell’Interno e della Sanità non sono in linea con le disposizioni della Convenzione di Istanbul. Ciò si riflette nell’inadeguatezza di un sistema completo e sistematico di monitoraggio e valutazione dei Piani d’Azione Nazionali, ma anche nella mancanza di dati e benchmarks per misurare nel tempo questo complesso fenomeno.
In secondo luogo, la pandemia di COVID-19 ha diminuito i servizi di supporto disponibili per le donne, ma anche per i bambini che assistono alla violenza. Le risposte programmatiche sono state limitate dalla preesistente mancanza di un quadro normativo e di trasparenza sulla violenza di genere e sul maltrattamento sui minori, insieme alle disparità tra le regioni italiane. La violenza di genere non è considerata una questione trasversale e mancano delle strategie a lungo termine e risposte politiche adeguate a promuovere l’uguaglianza di genere e prevenire il maltrattamento sui minori. Ciò è aggravato dalle posizioni deboli all’interno del governo del Ministero delle Pari Opportunità, con scarse risorse per raggiungere l’uguaglianza di genere e per garantire che il mainstreaming di genere sia applicato nella formulazione di programmi e leggi tra ministeri e livelli di governo. In questo contesto, le donne in Italia sono state anche le più colpite dalla crisi economica durante la pandemia, aggravata dalla mancanza di misure di protezione sociale ad hoc al fine di far fronte alle sfide economiche. Al riguardo, andrebbe rivisitato il Reddito di Cittadinanza esistente, e applicarvi una prospettiva di genere. In alcuni paesi dell’America Latina, i trasferimenti di denaro e sostegni di emergenza (cash transfers) sono stati fondamentali per ridurre la violenza di genere e promuovere la libertà delle donne e la loro indipendenza economica.[2] In Francia nella fase iniziale di risposta, il governo ha messo a disposizione delle stanze di albergo per le donne vittime di violenza durante il periodo di lockdown. In Italia, recentemente, è stato istituito il reddito di libertà per le donne vittime di violenza di 400 euro mensili al fine di favorirne l’indipendenza economica, già stato oggetto di criticità da parte delle organizzazioni della società civile.[3]
Infine, le strategie di finanziamento sono scarse e frammentate. Non esistono dati centralizzati sui fondi stanziati per la risposta alla violenza sulle donne da regioni, province, comuni ed enti pubblici diversi dai ministeri, il che rende impossibile tracciare un quadro completo dell’ammontare complessivo dei fondi destinati alla lotta alla violenza contro le donne e i bambini. Ciò è aggravato dall’inadeguatezza delle risorse umane, finanziarie e tecniche a tutti i livelli di governo per l’attuazione di politiche, piani e programmi diretti ai bambini, in particolare per i minori delle comunità più fragili ed emarginate.
di Flavia Bustreo, Federica Tronci, Benedetta Armocida, Cecilia Rocco, Gabriella Conti
[1] https://www.ingenere.it/articoli/violenza-servono-dati-politiche-adeguate
[2] https://www.thelancet.com/journals/langlo/article/PIIS2214-109X(21)00444-7/fulltext
[3] https://www.ingenere.it/news/reddito-di-liberta-dire-non-basta