L’emergere di nuove patologie prima sconosciute (come il recente virus SARS-CoV-19) ha riportato l’attenzione degli studiosi sulla drastica diminuzione della popolazione mondiale di animali selvatici; problema, questo, di proporzioni globali, che interessa ogni angolo della terra, discusso anche nel recente vertice delle Nazioni Unite sulla biodiversità tenutosi a Kunming (Cina), qualche settimana fa.
È sufficiente presentare un solo dato (reso noto dal World Wide Fund for Nature) per comprendere la gravità di tale problema: 68%, corrispondente all’andamento della riduzione della fauna mondiale negli ultimi cinquant’anni.
Il progressivo declino delle specie ha come principale fattore-causa la deforestazione, che insieme alle pratiche agricole e di allevamento intensivi e le contestuali modifiche nell’uso dei terreni, concorrono a creare delle condizioni favorevoli per il proliferare di nuove malattie.
Come dimostra uno studio pubblicato a marzo 2021 dai ricercatori dell’università di Montpellier e di Aix-Marseille (Francia), il legame tra la riduzione della superficie forestale e l’aumento delle epidemie segnalate, prendendo come riferimento la deforestazione che ha interessato vaste aree del pianeta dal 1990 al 2016 e la progressiva diminuzione del suolo boschivo (ridotta dal 31,6 al 30,7%), è inversamente proporzionale, con una crescita della presenza di malattie, in modo particolare nelle aree tropicali ricche di biodiversità. Tra le ragioni alla base dell’aumento degli agenti patogeni causato dalla deforestazione, vi è quella per cui quest’ultima favorirebbe il contatto tra gli esseri umani e gli animali portatori di malattie.
Sembra che la riduzione della superficie forestale in Africa occidentale e centrale abbia influito non poco nello scoppio e successivo propagarsi tra il 2004 e il 2014 del virus dell’ebola, la cui origine è stata finora ritrovata in pipistrelli e primati infetti.
Ecco quindi spiegato il legame tra pratiche ambientali distruttive e l’emergere di nuove patologie, oggetto di studi sempre più numerosi, nonostante non siano ancora stati definiti in modo evidente i nessi di causalità, utili per comprendere perché i cambiamenti degli ecosistemi siano correlati al propagarsi delle malattie e quali siano i fattori che ne favoriscono l’insorgere.
Oltre alle maggiori interazioni tra mammiferi, determinata dalla progressiva riduzione della superficie forestale, vi sono altri potenziali fattori che possono diventare veicolo di trasmissione di nuove malattie. Tra questi, strettamente connesso alla deforestazione, è possibile menzionare in particolare l’abbattimento di alberi e la presenza di impianti di monoculture (si pensi alle piantagioni per la coltivazione dell’olio di palma), in sostituzione di foreste centenarie.
L’abbattimento degli alberi sembra infatti accrescere la minaccia per gli esseri umani posta da infezioni virali trasmesse attraverso punture di zanzare, quali zika, dengue e chikungunya.
Le monocolture invece, con la distruzione delle foreste e del contestuale habitat naturale delle popolazioni animali, in primis quelle dei predatori, favorisce il proliferare di roditori, zanzare, pipistrelli nonché di alcuni primati, i quali a loro volta possono diventare portatori di agenti zoonotici, che possono essere facilmente trasmessi a esseri umani e bestiame.
Se da un lato si riconosce l’esigenza di approfondire, conducendo studi scientifici, il legame esistente tra uomo e natura in relazione in particolare alla diffusione delle malattie, dall’altro, l’emergere di nuovi agenti patogeni sconosciuti rende urgente un cambiamento di paradigma verso una transizione ecologica e culturale, guardando alla salute del genere umano come risultato di integrazione con la salute della nostra casa comune, l’ambiente e tutto ciò che ospita.
Fonte: Tratto e rielaborato dall’articolo intitolato “I danni all’ambiente provocano nuove malattie tra gli esseri umani”, The Economist e riportato nella rivista Internazionale (in data 26 ottobre 2021).
Lucrezia Gondini