CRISI CLIMATICA, FAME, CONFLITTI E COVID-19: LE MINACCE CHE COLPISCONO LA SOMALIA

La Somalia è uno dei posti più rischiosi in cui vivere in questo momento. Il paese detiene una lista di diverse catastrofi. Conseguenze del cambiamento climatico, conflitti, e Covid 19 si sono uniti per formare una crisi umanitaria devastante per milioni di persone. Non possiamo continuare solo a parlarne, dobbiamo ridurre questa sofferenza adesso”, afferma Mohammed Mukhier, IFRC (International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies) Regional Director per l’Africa.

La crisi climatica, che sta avendo conseguenze drammatiche in tutto il mondo, non sta risparmiando neanche la Somalia. Con una sussistenza principalmente legata all’agricoltura (circa l’83%, dati al 2020) e all’allevamento, è facile intuire come l’alternanza di periodi di siccità, piogge e inondazioni stagionali possano avere un impatto devastante per questo paese. Nel primo caso, i raccolti bruciano e il bestiame muore di fame e sete, nel secondo caso le alluvioni si portano via tutto.

A ciò, come a voler completare una crudele beffa, si aggiunge la piaga dell’invasione delle locuste del deserto. Questi insetti sono capaci di mangiare una quantità pari al loro peso in cibo fresco ogni giorno. Le infestazioni riguardano principalmente il nord-est dell’Etiopia e gran parte della Somalia. Dai dati raccolti fino adesso, sembra ci si posa aspettare una continua presenza di questi devastanti insetti fino alla fine dell’anno, nonostante il tentativo disperato di disinfestazione con spray repellenti che si sta effettuando sia via aerea che nei campi.

La crisi alimentare che si prospetta avrà ricadute su almeno una persona su quattro, minacciando inoltre di porre a rischio di malnutrizione acuta più di 800.000 bambini sotto i 5 anni di età.

Questi rischi e fragilità sono aspetti che vanno inoltre ad influenzare altre vulnerabilità di questo popolo. La scarsità di risorse, alimentari, idriche e di terreno fertile, vanno a fomentare tensioni tra clan rivali, contribuendo al dislocamento di massa di sfollati interni. Attualmente il loro numero si aggira sui 2.9 milioni, di cui 800.000 nella sola capitale, Mogadiscio, organizzati in campi informali e non.

È ancora lontana la speranza di vedere la formazione di una stabilità politica: le elezioni parlamentari che erano state previste quest’anno sono state invece rimandate già diverse volte. Sulle decisioni della politica ricade anche il peso della decrescita economica, con una contrazione dell’1,5% nel 2020.

Se tutto ciò non fosse già sufficiente da affrontare per questo popolo, l’apice della colossale crisi umanitaria sarà facilmente raggiungibile grazie al Covid19, che non ha risparmiato neanche questo paese.

Al 17 agosto 2021, i casi confermati di Covid19, da Marzo 2020, sono stati 16.103, con 864 morti. Al 16 agosto 2021 meno dell’1% della popolazione somala risulta completamente vaccinata, a causa di finanziamenti interrotti e problemi di logistica nei rifornimenti. La popolazione somala è molto giovane, con il 75% degli abitanti che risulta avere meno di 30 anni, ma ciò non giustifica la loro esclusione dalla campagna di immunizzazione, in quanto le vulnerabilità non mancano. Infatti, i campi di IDP (Internally Displaced People) risultano sovraffollati, con scarse condizioni igienico-sanitarie e insufficienti scorte alimentari e idriche.

Questo giugno, le Nazioni Unite denunciavano la più grave carenza di finanziamenti degli ultimi 6 anni in Somalia. A luglio di quest’anno, la IFRC ha lanciato una campagna di raccolta fondi (puntando a raccogliere 8.7 milioni di franchi svizzeri), per riuscire a continuare la loro attività nella regione, il cui supporto alle zone più remote e isolate è indispensabile.

Le testimonianze riportate dal “The Guardian” non fanno che confermare la situazione di complessità e desolazione che ormai avvolge questa nazione:

  • Fadumo Ali Mohamed, somala e madre di 9 bambini, ha camminato più di 30km con loro per fuggire dal suo villaggio Balad Amin ed arrivare a Mogadiscio. Lo scoppio delle tensioni tra clan rivali non le ha lasciato scelta, soprattutto dopo aver perso alcuni parenti nel fuoco incrociato e aver visto sequestrati i pozzi del villaggio. Le case in fiamme e le persone che morivano ai lati della strada hanno trasformato il suo villaggio in un villaggio fantasma. Purtroppo non è la prima volta che Fadumo si ritrova costretta a fuggire: già nel 2017, di fronte alla carestia e alla siccità non ha avuto alternativa. Il padre dei figli di Fadumo è malato e non ci sono medicine. Nel campo in cui si trova ora si riesce a trovare cibo per un pasto al giorno e il costo dell’acqua è spesso inaccessibile. Prima del covid il suo lavoro consisteva nel lavare i vestiti degli abitanti della città, ma con la pandemia la gente ha iniziato a chiudere le porte delle proprie case.
  • Ahmed Yarow Ahmed, 50 anni, è scappato dal suo villaggio, Rabdhure, dopo che il suo bestiame e i suoi raccolti sono stati spazzati via dalla carestia del 2017, a seguito della mancanza di piogge per ben 3 anni di fila. Ahmed, padre di 9 bambini, racconta di come, anche per lui, l’unica via di fronte alla siccità è stata la fuga. La vita nel campo sfollati rimane comunque dura e davanti alla mancanza di scorte, si condivide il poco che si ha. La prospettiva di ritornare verso le proprie case sfuma ogni giorno di più.
  • Il commercio di bestiame di Mohamed Awad, dal porto di Bosaso, è stato ridotto del 50% a causa della pandemia. L’Arabia Saudita, principale partner commerciale per l’export ha cancellato gli ordini di importazione e altri paesi hanno chiuso i loro confini.

di Beatrice Santucci

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